Calcio

Portale Web del Comune di Bergamo – Pianura Bergamasca Càls (I brüsa-crés-cc) i calsinèi – i calsanì

Calcio è un comune Bergamasco in Lombardia situato ai margini orientali della pianura bergamasca, sulla destra orografica del fiume Oglio, si trova a circa 25 chilometri a sud-est del capoluogo BERGAMO.

 

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Popolazione Residente
5.352 (M 2.722, F 2.630)
Densità per Kmq: 339,8
Superficie: 15,75 Kmq
Codici
CAP 24054
Telefonico Prefisso 0363
Codice Istat 016044
Codice Catastale B395
Informazioni
Denominazione Abitanti calcensi
Santo Patrono San Gottardo
Festa Patronale 4 maggio
Etimologia (origine del nome)
Potrebbe derivare da calceus, aggettivo latino che deriva da calx, calcis, calce o calcina. Secondo altri potrebbe derivare dal nome latino di persona Calcius.
Il Comune di Calcio fa parte di:
 Parco dell’Oglio Nord
 Associazione Italiana Paesi Dipinti
Comuni Confinanti
Musei nel Comune di Calcio
 Museo della Fotografia

MERCATO SETTIMANALE

Calcio Viale A. Moro mercoledi 48 Banchi

 

CENNI STORICI:

Le origini del paese sono molto antiche: possono essere fatte risalire al III secolo a.C., epoca in cui si verificò la colonizzazione Romana. Tale ipotesi è suffragata da numerosi ritrovamenti avvenuti sul territorio comunale, tra i quali spicca un mosaico di straordinaria fattura che, ritenuto il miglior esempio di arte romana di tutta la provincia bergamasca, è oggi custodito nel Museo Archeologico di Bergamo.

Anche il significato etimologico del nome risalirebbe a quel periodo: calx infatti indicherebbe proprio il materiale presente in natura con il nome di calcio (i cui composti assumono il nome di calce), molto comune in quel tempo specialmente sulle rive del fiume Oglio, dove si verificarono i primi insediamenti umani stabili.

Dopo il termine della dominazione romana, Calcio dal 570 entrò a far parte del ducato Longobardo di Bergamo, che dal 603 comprese anche Cremona ed il suo territorio. Nel 702, in seguito a due tentativi dei duchi di Bergamo di farsi re d’Italia, il ducato fu soppresso ed assegnato ad un Gastaldo regio. Nel 774 il territorio fu occupato dai Franchi. Furono questi ultimi a creare i presupposti per la formazione del Sacro Romano Impero, i cui reggenti governarono le sorti del paese per tutta l’epoca medievale. Calcio entrò quindi a far parte della contea di Bergamo, retta dai conti Ghisalberti. Poco dopo il mille, la contea fu suddivisa fra i vescovi di Bergamo e Cremona. Ed è a questo periodo che risalgono i primi documenti scritti che attestano l’esistenza del borgo: nel 1035 infatti si cita in loco Calzo, per indicare alcuni possedimenti del Vescovo di Cremona, al quale era stato donato in feudo il borgo dall’imperatore, unitamente alle zone circostanti.

Altri documenti a questo successivi ci permettono di venire a conoscenza del fatto che lo stesso vescovo concesse il paese di Calcio in feudo alla famiglia dei Sommi, ribadendo comunque l’appartenenza del paese alla diocesi cremonese.

Successivi cambi portarono il borgo a gravitare nel distretto di Soncino (nel 1311), per poi ritornare nell’area cremonese qualche decennio più tardi. Nuove cessioni riguardarono questo territorio: prima al conte GabrioloAliprandi, poi alla famiglia milanese dei Visconti, nella figura di Regina della Scala, consorte di Bernabò Visconti, ed infine alla famiglia dei Secco, originaria di Caravaggio.

Fu con questi ultimi che il paese visse un periodo di rinascita, dopo un lungo periodo di abbandono e di povertà che aveva reso il territorio una zona paludosa e per nulla sicura. La famiglia, tra le più in vista dell’intera Lombardia, garantì ai propri sudditi una serie di esenzioni, sgravi e diritti che fecero rinascere socialmente ed economicamente il borgo, che assunse un ruolo di rilievo tra i paesi del circondario.

Posto in una zona di confine, tra la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano, era da considerarsi una vera e propria zona franca, chiamata Calciana, comprendente, oltre a Calcio, i comuni di Pumenengo, Torre Pallavicina, Urago e la parte meridionale delle terre di Cividate. Esente dalle tasse e con una propria amministrazione. Come in tutte le zone di confine, notevole era il contrabbando praticato nonostante le rigide leggi che lo vietavano, pena dure sanzioni, anche se per gli abitanti stessi questa era una delle principali fonti di sostentamento.

La totale esenzione dalle tasse durò fino alla metà del XVIII secolo, mentre pochi decenni più tardi si verificò il passaggio alla Repubblica Cisalpina. La nuova dominazione revocò tutti i privilegi riservati al paese, che fu annesso al dipartimento facente a capo a Bergamo, ed unito amministrativamente ai vicini comuni di Pumenengo e Torre Pallavicina.

Il successivo arrivo degli austriaci, che instaurarono il Regno Lombardo-Veneto, non ripristinò le vecchie agevolazioni ma garantì un nuovo sviluppo che portò nuovamente il paese di Calcio ad occupare un ruolo predominante in ambito economico nella pianura bergamasca.

Nel XX secolo il paese subì la crisi del settore agricolo che, non compensata dall’evoluzione industriale, lo ha nuovamente relegato a ruolo marginale nell’economia della bassa bergamasca.

Pochi sanno che due delle più importanti battaglie del Medioevo ebbero il loro inizio nel territorio di Calcio.

ITINERARI DI CALCIO

La storia della parrocchiale di Calcio ha avuto inizio attorno al 1750, quando, dato che la vecchia chiesa di Calcio necessitava di onerosi lavori di ampliamento non essendo più sufficiente a contenere la popolazione, riprese corpo il progetto, che si era trascinato per decenni senza mai giungere a buon fine, di costruire una nuova chiesa al posto di continuare a spendere denaro per un vecchio edificio che fra l’altro aveva il difetto di trovarsi al centro del quartiere Piazza, relativamente lontano dai due quartieri Rivelino, e soprattutto dal quartiere Villa.

Il Marchese Marco Secco d’Aragona mise a disposizione il campo denominato Brama (nome che ancora adesso si usa per chiamare la piazza antistante la chiesa) a livello perpetuo per un canone simbolico di due capponi ogni anno e di una messa perpetua dopo la sua morte. A questo punto l’arciprete Gaspare Ludovico Orsi commissionò il progetto all’ingegnere Giuseppe Foscagni, il vescovo di Cremona autorizzò una questua straordinaria e concesse l’indulgenza episcopale a chi avesse prestato la sua opera gratuitamente la domenica, e nel 1762, dopo la posa della prima pietra, iniziarono i lavori. [D.Muoni: “CENNI STORICI sopra Calcio e Antignate 1875”, pag. 25]

Erano però in molti a pronosticare che la nuova chiesa sarebbe stata iniziata, ma mai finita: un borgo povero, che superava di poco i duemila abitanti, si accingeva a costruire un tempio che sarebbe stato inferiore, in Lombardia, solo al Duomo di Milano, ma più imponente di tutte le altre chiese di Milano, Bergamo, Brescia e Cremona, e del vicino Santuario di Caravaggio.[D. Muoni: “CENNI STORICI sopra Calcio e Antignate 1875”, pag.27] Tutta la popolazione rispose con slancio: muratori, carpentieri e manovali, lavorando gratuitamente la domenica, i carrettieri, trasportando gratuitamente il cemento, la sabbia e i mattoni, i contadini, estraendo in loco la ghiaia, i sassi e parte della sabbia, e i proprietari terrieri fornendo il legname e sussidi.

Il progetto era ambizioso anche dal punto di vista ingegneristico: il tempio, a differenza del Duomo che ne aveva 54, non avrebbe dovuto avere alcun pilastro interno, e avrebbe dovuto sorreggere una cupola di notevoli proporzioni. Per trasformare in verticali le spinte orizzontali che sarebbero venute dal tetto e dalla cupola, le pareti laterali furono costruite con un doppio muro, con precipizi vuoti fra il muro interno ed esterno. Però, dopo dieci anni, la popolazione di Calcio dovette arrendersi; i lavoratori erano stremati, le risorse esaurite. I lavori furono interrotti con i muri a circa due terzi dell’altezza che avrebbero dovuto raggiungere. Si ricoprì alla meglio, furono lasciate le impalcature con l’intenzione di riprendere i lavori e si ricavarono, nelle poche parti ricoperte, alloggi per le famiglie indigenti.

Un timido tentativo di riprendere i lavori fu fatto nel 1792, ma venne subito abbandonato. Nel 1835, dietro l’impulso dell’arciprete Paolo Lombardini, furono commissionati all’architetto Giacomo Bianconi una modifica del progetto originale e un prospetto delle spese, che furono calcolate in 230 000 lire austriache, cui sarebbero state da aggiungere altre 90 000 lire per la cupola, alla quale però egli suggerì di rinunciare in quanto troppo onerosa. Nella primavera del 1841 ripresero quindi i lavori. Le vecchie mura erano state sottoposte alle prove sclerometriche per verificarne la resistenza [Archivio Parrocchiale, Sc.48 Lettera di Oldifredi all’avvocato Piccioli] e, smentendo le paure di molti, si erano dimostrate solide. Il consiglio comunale deliberò una sovraimposta comunale di due centesimi per ogni scudo d’estimo da destinarsi all’erigenda chiesa e di nuovo, sotto la guida del capomastro Prospero Reyner di Pumenengo, la popolazione di Calcio riprese i lavori.

Nel 1848, dopo aver persino invocato inutilmente un aiuto dall’imperatore d’Austria, don Lombardini dovette però arrendersi. Nel 1860, l’ormai anziano arciprete rinunciò alla parrocchia e il suo posto venne preso da don Giuseppe Mainestri il quale, dopo 19 anni di interruzione, deliberò la ripresa dei lavori, e dopo aver accumulato per due anni i materiali necessari, chiamò l’architetto Carlo Maciachini per commissionargli il completamento dei medesimi. Ma questi, di fronte alla mole di lavoro necessario, in un primo momento si scoraggiò, parendogli che non sarebbe stato possibile ad alcuno portare a termine una tale opera. [Calcio e la signoria della Calciana, Caproni-Pagani] La popolazione di Calcio però convinse il professionista ad assumere la direzione dei lavori, e non solo la chiesa fu completata, ma venne eretta anche la cupola che nel progetto dei decenni precedenti era stata stralciata.

Il 29 ottobre 1880, alla presenza dell’arcivescovo di Milano, monsignor Luigi Nazari di Calabiana, e del vescovo di Crema, monsignor Francesco Sabbia, il vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, consacrò la nuova chiesa. L’arciprete Giuseppe Mainestri purtroppo non poté vedere il compimento dell’opera, essendo morto nel 1875. Al suo posto c’era l’arciprete Giovanni Battista Pizzi. Comprese le varie interruzioni, i lavori erano durati ben 118 anni. Lavori di consolidamento furono necessari già nel 1894, e poi ancora poco prima del 1930. Tranne che per la facciata, le pareti sono state lasciate grezze, senza la stabilitura.

La nuova costruzione era imponente; all’interno la lunghezza massima era di 69 metri, e la larghezza massima di 33. All’esterno il tempio misurava 76 metri per 36. La facciata, sormontata da cinque statue, era alta 33 metri al vertice del timpano, mentre la cupola, ricoperta con ardesie di Savoia, arrivava ad un’altezza di 64 metri alla sommità della croce. [D. Muoni: “CENNI STORICI sopra Calcio e Antignate 1875”, pag 27] L’interno era spoglio, anche se sui pennacchi della cupola erano già stati eseguiti affreschi dal pittore bergamasco Giacomo Trecourt, integrati e in parte sostituiti da Antonio Guadagnini nel 1876. Vennero inoltre trasferite dall’oratorio di San Rocco e dalla vecchia parrocchiale diverse tele, fra cui una rappresentazione della Vergine con bambino di Marcantonio Mainardi, detto il Chiavechino, di epoca prossima all’anno 1600. Sulla stessa parete, di uguale grandezza, si trova una pregevole copia di autore ignoto di un dipinto di Enea Salmeggia del 1610, raffigurante la Vergine con San Rocco, San Francesco e San Sebastiano, mentre l’originale, un tempo custodito anch’esso nell’oratorio di San Rocco, è stato trasferito nella Pinacoteca di Brera. Dalla vecchia pieve venne invece portata una tela ad olio del XV secolo di Aurelio Gatti, detto il Soiaro, raffigurante l’ultima cena.

Nel 1906 il pittore Giacomo Campi eseguì un affresco dietro l’altare e altri due sulla parete di ingresso, mentre gli affreschi sulla volta e sul catino dell’abside furono eseguiti nel 1934 da Umberto Marigliani, che dipinse anche un battesimo di Cristo nella cappella del battistero. Dello stesso anno è un affresco eseguito da Mario Albertella nella cappella del crocefisso. Il vecchio altare fu sostituito nel 1940 con un altare imponente abbellito con delle sculture marmoree di Pietro Ferraroni.

Notevole è anche il patrimonio scultoreo, a partire dalle cinque statue di santi, scolpite da D. Belcaro che sormontano la facciata. All’interno, in dodici nicchie, si trovano le statue dei dodici apostoli eseguite dal conte Gerolamo Oldifredi Tadini, le statue lignee di Cristo morto (1731), San Gottardo (1627), San Carlo (1674), San Biagio (1738) e San Vittore (XVIII secolo). Vicino all’ingresso troviamo la statua di un angelo adorante, che un tempo ornava il vecchio altare maggiore, e negli altari laterali vi sono una statua della Madonna Immacolata e della Madonna del Rosario, entrambe di fattura recente. Nella sacrestia è inoltre conservato un ostensorio del 1760 di Antonio da San Benedetto, alcune piccole tele del XVII e XVIII secolo, fra le quali spicca una pregevole cena di Emmaus.

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